Siele, Villaggio e Miniera
Località Cancelli, Piancastagnaio
Brevi cenni storici
Il Siele è la prima miniera di mercurio italiana ad entrare in attività. Con la costituzione a Livorno nel 1847 dello “Stabilimento mineralogico Modigliani” inizia la storia moderna dell’industria estrattiva sulla montagna amiatina che proseguirà lungo un cammino di oltre 130 anni.
L’azienda dovrà affrontare nei suoi primi anni di vita non poche difficoltà legate alla ricerca, alla distillazione del minerale, ai forti investimenti richiesti rispetto ai magri risultati economici raggiunti. Problemi che porteranno sul finire degli anni cinquanta all’uscita dalla società dei primi proprietari – Cesare Sadun e Angelo e Salomone Modigliani –, al fallimento dell’impresa e all’acquisto, nel 1865, dello stabilimento mercurifero del Siele dal tribunale di Livorno di Emanuele Rosselli, agiato commerciante della città portuale labronica.
Con la costituzione nel 1867 della ditta “Angelo Rosselli” e con l’ingresso nella società di Sara Levi Nathan, vedova di un ricco banchiere londinese e importante figura del Risorgimento italiano per suoi rapporti con Giuseppe Mazzini, inizia il vero decollo produttivo della miniera favorito anche dalla perizia del nuovo direttore, il francese Petiton, che succede nel 1870 ai primi responsabili minerari Caillaux e Burci.
Nello stabilimento si producono le prime bombole di mercurio impiegato dalla nascente industria europea nella produzione del cloro e della soda caustica, nella fabbricazione degli strumenti di precisione (barometri, termometri, etc.), d’innesco delle armi, nella concia delle pelli, e, più tardi, nella fabbricazione delle vernici antimuffa, dei prodotti farmaceutici, degli antiparassitari, delle lampade a vapore di mercurio, etc.
Il forte sviluppo produttivo della miniera nonché gli ingenti profitti realizzati dagli azionisti del Siele, attrarranno in montagna un gran numero d’industriali e finanzieri del vecchio continente: inizia, così, quella “corsa al mercurio” che vedrà a partire dal 1870 l’apertura sull’Amiata di numerose miniere di cinabro, alcune delle quali sorgeranno proprio sugli antichi siti esplorati dagli etruschi o coltivati nel settecento dai conti Cesarini Sforza di Santa Fiora.
Dopo lo stabilimento mercurifero del Siele, verranno, infatti, aperte, solo per citare le attività estrattive più significative, dal tedesco Filippo Schwarzenberg le miniere delle Solforate, del Cornacchino e del Morone, dai francesi Auber, Lefreve e Magnait quella della Senna, dal polacco Yasinski le miniere di Casa di Paolo e di Scansano, dai marchesi fiorentini Carlo Ginori Lisci e Giorgio Fossi quella di Cortevecchia, dalla ditta Menicanti, Soria e soci la miniera De Reto-Montebuono, dal livornese Donegani quelle di Monte Labro e Bagnore e negli anni venti del novecento, dai Feltrinelli di Milano la miniera dell’Abetina conosciuta in seguito come Argus. La gran parte di queste attività estrattive non reggeranno alla crisi finanziaria mondiale del 1929 e verranno progressivamente chiuse.
Sempre sul finire del secolo (1897) viene costituita a Livorno da Vittorio Emanuele Rimbotti e da alcuni finanzieri tedeschi di Friburgo la “Società Anonima delle Miniere di Mercurio dell’Amiata” che coltiverà un giacimento mercurifero nel comune di Abbadia San Salvatore, miniera che nei primissimi anni del novecento diverrà la più importante del Paese e la seconda d’Europa dopo quella spagnola di Almaden.
Anche nella miniera Rosselli – Nathan si realizza negli stessi anni un notevole balzo produttivo: la costruzione dei nuovi forni Cermak – Spirek, l’introduzione della macchina a vapore, la scoperta di un ricco filone di minerale cinabrifero alle Solforate e la forte crescita del prezzo del mercurio sui mercati daranno un notevole impulso allo sviluppo dello stabilimento mercurifero. In conseguenza, aumenta notevolmente la quantità di mercurio distillato ed anche l’occupazione che supera nei primi anni del novecento 300 unità e cresce ad oltre 1000 dipendenti sull’intero bacino estrattivo della montagna. Nei periodi di maggiore sviluppo nelle miniere amiatine verranno occupati circa 2500 operai.
Con la costruzione nel 1905 della centrale idroelettrica del Caro e la messa in funzione di una teleferica per il trasporto del cinabro dalle Solforate ai forni del Siele – minerale trasportato fino ad allora a dorso di mulo e asino-, la miniera razionalizza il proprio sistema produttivo che verrà poi completato con la costruzione nel 1914 della galleria Emilia che, attraverso un percorso sotterraneo di circa due chilometri, collegherà le gallerie di escavazione ai forni di distillazione del Siele.
Le famiglie Rosselli – Nathan, che per oltre 70 anni avevano mantenuto il pieno controllo del Siele, saranno costrette a disfarsi della miniera a seguito delle leggi razziali fasciste del 1938 che priveranno gli ebrei di ogni diritto di cittadinanza ivi compreso quello del possesso di beni e proprietà. Escono, cosi, dalle miniere cinabrifere dell’Amiata due importanti famiglie della storia nazionale nei cui albi genealogici troviamo figure note dell’antifascismo come Carlo e Nello Rosselli trucidati in Francia nel 1937 dai sicari fascisti della Cagoule, o come Ernesto Nathan, figlio di Sara, dal 1907 al 1913 illuminato sindaco di Roma.
L’azienda mineraria passerà nel 1939 sotto il totale controllo del gerarca fascista conte Giovanni Armenise, già azionista di riferimento della Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Il lavoro in miniera
L’Amiata, caratterizzata fino all’avvento dell’industria estrattiva da un’economia silvo-pastorale e da un’agricoltura montana di mera sussistenza, con le miniere avvia il proprio sviluppo industriale e vede la nascita del movimento operaio: le Società di Mutuo Soccorso prima, le Leghe di Resistenza e, con i primi anni del novecento il Sindacato dei minatori, daranno a masse di braccianti, pastori e boscaioli semianalfabeti una matura coscienza di classe che si esprimerà in epiche lotte in difesa del lavoro, dei salari e della sicurezza in miniera. Nelle gallerie, infatti, si muore tragicamente per i gas venefici, per lo scoppio delle mine, per le frane, per le cadute nei pozzi. Ma si muore ancora di più, spegnendosi lentamente, a causa di due terribili malattie che ossificano i polmoni di chi lavora agli avanzamenti (silicosi) o avvelenano il sangue (idrargirismo) degli addetti ai forni di distillazione. Patologie del lavoro in miniera che solo nei primi anni del novecento verranno conosciute grazie agli studi dei medici Giglioli e Zannellini; patologie che solo decenni dopo saranno ammesse tra le malattie professionali.
Il villaggio minerario del Siele oggi
Il Siele ha mantenuto a lungo i caratteri di un vero e proprio villaggio minerario con il palazzo della direzione, i manufatti e gli impianti industriali funzionali alla estrazione, lavorazione e distillazione del cinabro, le abitazioni dei tecnici e dei dirigenti, una piccola scuola primaria, la cappella, lo spaccio, un’infermeria, le docce e gli altri edifici utili all’attività mineraria e alla vita delle famiglie dei tecnici che lo hanno abitato.
Dell’antico sito ottocentesco rimangono oggi solo alcune significative tracce. Durante i centotrenta anni della sua storia il villaggio minerario ha conosciuto ininterrotti e pesanti rimaneggiamenti: si sono abbattuti i vecchi manufatti per far posto a nuove e più funzionali opifici, sono stati demoliti i castelli dei pozzi che scendevano alle gallerie di escavazione, gli antichi forni Spirek sono stati sostituiti da impianti di distillazione più moderni e produttivi.
Ciò nonostante, è ancora forte l’emozione che dà il Siele: il vecchio villaggio minerario adagiato sul fondo di una gola cupa, cui fanno corona ombrosi boschi di querce e cerri, non cessa di sorprendere e colpire la fantasia di chi ha l’occasione di visitarlo.
Tra gli edifici recuperati si staglia l’intrigo inquietante dei tubi e delle torri dei forni Pacific con accanto l’edificio della frantumazione del cinabro e nei pressi il palazzetto dei neri con i suoi austeri archi di trachite. Di fronte, le abitazioni dei tecnici e dei dirigenti – balconi protesi dirimpetto la lussureggiante collina -, mostrano gli occhi sofferenti del lungo abbandono. Ed ancora, meraviglia la breve teoria degli stabili rosso cinabro con la chiesetta e i locali dei futuri archivi e delle sale multimediali che incontriamo entrando.
Su in alto sopra il cancello d’ingresso domina con la sua austera grazia la villa che ospitò i Rosselli e a sinistra, quasi in fondo al grande spiazzo, si apre il tunnel della galleria Emilia aperta ai visitatori nel suo primo tratto fino al pozzo Raffaello, uno dei più profondi con i suoi 350 metri sotto il livello del suolo.
All’ospite meno distratto gli opifici, gli antichi fabbricati, il groviglio metallico dei forni e il cunicolo buio della galleria di carreggio rimandano alla durezza del pane strappato dai minatori alle viscere della terra.
Testo: Francesco Serafini
Galleria fotografica
Foto di Michele Ruffaldi Santori, VIDEO GRAFICA 01 – Grosseto